“Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore“
Italo calvino
Oggi parleremo di Santosha, un concetto che viene dalla tradizione yogica, ma che, come sempre, ritroviamo anche nella storia di noi occidentali.
Ma partiamo dal principio.
Ti sei mai chiesto cosa ti rende felice?
Io e Bennini sì, come puoi vedere nell’immagine qui sopra.
La nostra risposta è stata scioccante. Pomodori e caffè.
Bè, che dire, i pomodori sono rossi, tondi, ciccioni e, soprattutto, sono buonissimi!
Per il caffè dovete chiedere a Bennini, ma sono certa che l’aroma, il colore e il gusto intenso, siano i principali responsabili della sua scelta.
Dunque, abbiamo capito che a me e Bennini piacciono i pomodori e il caffè.
Ma cosa c’entrano caffè e pomodori con Santosha, l’arte della contentezza?
Ho scelto di rappresentare la contentezza con dei pomodori, perchè il giorno in cui ho fatto la salsa, come nelle migliori tradizioni del Sud Italia, mi sono sentita felice.
O meglio contenta. Serena. Soddisfatta.
Mi sono sentita in pace. In pace con dei pomodori, ebbene sì.
Non mi è servito possedere un jet privato e nemmeno essere in una spiaggia deserta dei Caraibi.
Mi sono serviti solo dei pomodori e delle persone care con cui spremerli.
Questo è Santosha. Questa è la contentezza.
Ma cerchiamo di comprendere meglio questo concetto, al di là della salsa.
Che cosa significa Santosha, l’arte della contentezza?
Santosha è il secondo niyama, le “Osservanze” verso se stessi, descritto negli Yoga Sutra di Patanjali. Ne abbiamo già parlato, quando abbiamo incontrato gli altri quattro: Saucha, Tapas, Svadhyaya e Isvara Pranidhana.
(Se vuoi approfondire gli Yoga Sutra, ti consiglio la bibbia commentata in merito, Quattro Capitoli Sulla Libertà, di Swami Satyananda Saraswati)
Il termine deriva dal sanscrito sam, che significa “completamente” o “del tutto”, e tosha, che significa “soddisfazione” o “accettazione”.
Potremmo, quindi, dire che Santosha significa letteralmente “essere completamente soddisfatti”.
“Con la contentezza, si ottiene la gioia suprema” – Sutra 2.42
patanjali – sutra 2.42- yoga sutra
Esiste, dunque, una differenza tra contentezza e gioia. Ma quale?
Dopo anni di frequentazioni della cultura yogica, mi spingerò a darvi la mia interpretazione dei fatti.
La gioia o felicità è un moto positivo, ma passeggero e tipicamente legato ad accadimenti esterni. La contentezza o appagamento è qualcosa di completamente diverso.
Santosha, l’arte della contentezza non implica il fatto di amare o possedere qualcosa.
Si produce da sè. Quando si è semplicemente se stessi.
Lo so, come sempre il concetto non è semplice.
Ti starai chiedendo come mai, nonostante tu sia te stesso eccome, non ti senti per niente nel Santosha-stato.
Non è facile vivere in Santosha, l’arte della contentezza.
Del resto si tratta di un’arte e come tale va esercitata. Altrimenti sarebbe troppo semplice, non trovi? 🙂
Purtroppo, l’era del consumismo non ci aiuta granchè.
Cresciamo con stimoli martellanti e ben mirati a farci credere che solo possedendo cose più grandi e più belle saremo davvero felici.
Ebbene ti svelerò un segreto: è una bugia.
La ricchezza non è responsabile della felicità.
A dircelo sono in tanti. Da Valerio Massimo, storico romano del I secolo d.C., ai ricercatori dell’Università di Princenton.
Lo studio di Princenton, condotto nel 2010 su un campione di 450.000 persone, spiega con termini tecnici come la ricchezza sia inutile ai fini della soddisfazione personale.
Per essere precisi, lo studio sottolinea che, al di sotto di una soglia economica annua, i guadagni familiari concorrono alla felicità.
Ma, dopo aver raggiunto la soglia base per potersi permettere le cose importanti, come una casa e del cibo caldo, tutti i guadagni “in più” non partecipano alla felicità.
Quindi dove si trova Santosha, la nostra amata contentezza?
So che già immagini la mia risposta.
Ebbene sì, si trova dentro di te!
L’essere umano è, infatti, naturalmente gioioso. Non c’è niente da fare, niente da avere.
La contentezza è una calma interiore che suggerisce l’armonia, il diletto in se stessi e l’amore interiore. E’ uno stato in cui non si è, inoltre, turbati dalle difficoltà intorno a sé.
Il problema è che Santosha, l’arte della contentezza, va imparata!
Non la si avverte se non si è aperti ad accoglierla.
E’ necessario impegnarsi per non rivolgere costantemente l’attenzione all’esterno, a quello che hanno da dirci i social media, la televisione, la pubblicità, gli amici e parenti, e via dicendo.
E’ necessario impegnarsi ad ascoltare se stessi e a far caso a tutte le cose belle che già si hanno nella vita.
Sforzati, inoltre, a condividere con gli altri solo contentezza e gioia.
Cerca, invece, di evitare l’insoddisfazione. Esercitati a vedere il meglio negli altri e non i difetti.
Se vuoi iniziare, qui Bennini ci parla della gratitudine e di come si impara a coltivarla.
Sei pronto? 🙂
Per finire, mi raccomando, compra semi di pomodoro e buon caffè.
A presto!
Pat